I termini peregrinus e homo viator vengono comunemente usati come sinonimi. Tuttavia vi è una notevole differenza semantica.(Homo) viator è un termine tardo-antico e post-classico e si riferiva al messaggero o cursore pubblico incaricato di compiere un determinato percorso per portare ordini, corrispondenza, messaggi o per altri incarichi simili. Il "viator" percorreva la via, un cammino ben tracciato e individuabile nel territorio. Ma nella Patristica è Cristo la via, secondo la scultorea testimonianza giovannea; nell’imminenza della sua passione e morte, Gesù disse ai suoi: "Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore..." (Gv 14, 2-6). L’homo viator è consapevole di compiere un cammino seguendo le tracce di Cristo, ma soprattutto che la sua via è Cristo e che solo in lui e con lui può procedere verso la sua ultima meta. La via è intesa come segmento percorribile fra due punti. Nel termine homo viator è dunque insito il doppio significato dell’umiltà della sequela di Cristo e della sicurezza della fede. Peregrinus, termine di età classica affermatosi a partire dall’alto medioevo, deriva dalla locuzione per agros e indica gli individui che percorrono il territorio esterno alla città. Il peregrinus, in quanto non appartenente alla comunità con cui viene in contatto, è straniero, sconosciuto e anche strano. È dunque un diverso, viene da lontano e va altrove. Da straniero non conosce i luoghi e gli itinerari e perciò deve trovare il suo cammino attraverso piste non sempre giuste. Il peregrinus è soggetto a smarrirsi e deve chiedere la giusta direzione alla gente del luogo. Ha bisogno di protezione giuridica, di trovare ospitalità e di ricevere cibo per sostentarsi. Fin dall’alto medioevo è compreso fra le categorie sociali deboli, fra i pauperes, gli infermi, tutti gli impotentes bisognosi di tutela e di provvidenze.
“Quale gioia quando mi dissero,
andiamo alla casa del Signore”
Il pellegrinaggio per i primi cristiani
Per i primi cristiani Gerusalemme diventa la meta di un viaggio spirituale ambito nel desiderio di conoscere i luoghi dove Gesù visse, predicò e morì. Le radici del pellegrinaggio cristiano si ritrovano anche in illustri esempi biblici, sia del Vecchio che del Nuovo Testamento: da Adamo che dovette abbandonare l'Eden, ad Abramo, Isacco e Giacobbe che peregrinavano senza una fissa dimora, o come il popolo d'Israele che errò nel deserto. Il pellegrinaggio a Gerusalemme divenne per i cristiani un'usanza fissa a partire dal 313 d.C. con l'editto di Costantino e la libertà di culto nell'Impero Romano. Si andava per cercare la Croce, i chiodi, la tunica di Cristo, la Scala Santa o per ripercorrere i luoghi della sua sofferenza. A mano a mano che il culto cristiano si espandeva, cresceva anche la devozione per gli Apostoli Pietro e Paolo, martirizzati a Roma, e ritenuti i fondatori della Chiesa. Così Roma diventa la città benedetta, battezzata dal sangue dei due apostoli di Cristo. Roma acquista un'importanza sempre maggiore rispetto a Gerusalemme, di pari passo con la decadenza dell'Impero Romano e sotto la pressione dei barbari che depredavano e devastavano città e vie di comunicazione. Fino a diventare la seconda Gerusalemme dal 638 d.C., anno in cui la città santa viene conquistata dagli Arabi e diventa sempre più difficile recarsi in pellegrinaggio ad Oriente.
Alto medioevo (dal 500 al 1000)
Dal 500 fin verso l'anno 1000 il pellegrinaggio era un fenomeno prevalentemente individuale. Verso la fine del primo millennio, invece, prende corpo il pellegrinaggio collettivo, meglio preparato e senza dubbio meno rischioso. Una svolta nel carattere stesso del pellegrinaggio si ebbe a partire dal VII secolo, quando si cominciò a prescriverlo o ad imporlo, assieme all'elemosina, come penitenza per peccati di una certa gravità. Si andava in pellegrinaggio non solo per visitare i luoghi santi di culto, ma anche per sciogliere un voto. Il pellegrinaggio come pratica di penitenza e di riscatto morale coinvolge anche le classi sociali più alte, senza escludere re e imperatori. Il primo sovrano a recarsi a Roma fu Carlo Magno, nella Pasqua del 774.
Nell'iconografia medievale il pellegrino indossa un mantello con il cappuccio, detto pellegrina, che copre il corpo fino ai piedi e protegge dal freddo; oppure porta un cappello rotondo a larghe tese tenuto fermo da un laccio, chiamato petaso, che protegge dalla pioggia e dal sole. Impugna il bordone, un bastone da marcia con una punta chiodata, che aiuta il pellegrino a camminare ed è anche un'arma di difesa contro i briganti. Porta una bisaccia che si appende alla vita, sufficiente per il minimo indispensabile; è sempre aperta perché il pellegrino deve essere sempre pronto a donare come a ricevere.
Il rituale della vestizione
I pellegrini che si dirigono a Gerusalemme portano ben in vista la croce. Quelli che viaggiano verso Compostela portano impressa sul bavero la conchiglia di San Giacomo, che in origine i pellegrini raccoglievano sulle spiagge dell'oceano Atlantico e successivamente diventa il simbolo comune a tutti i pellegrini, senza distinzione di santuario. Molti volevano tenersi vicino le reliquie, cioè i resti mortali dei santi, oppure gli oggetti appartenuti a Gesù. Si anima, così, nel medioevo l'afflusso alle tombe e alle reliquie sacre, assieme al bisogno di riportare indietro con sé un oggetto che continui a rappresentare un legame tangibile con la straordinaria esperienza vissuta. Questo culto per le reliquie diede luogo anche a commerci poco leciti.
STORIA DEI PELLEGRINAGGI CRISTIANI DALLE ORIGINI AL MEDIOEVO
v Le origini del pellegrinaggio e l’Alto Medioevo
‹‹Atto volontario con il quale un uomo abbandona il proprio ambiente affettivo e i luoghi a lui consueti per recarsi, in religiosità di spirito, al santuario che ha liberamente scelto o che gli è stato imposto dalla penitenza; giunto al luogo sacro attende che venga esaudito un suo personale desiderio e, certamente più nobile, un approfondimento della propria vita attraverso la meditazione e la preghiera ››.
Questa è la definizione che lo storico Raymond Oursel dà al pellegrinaggio cristiano.
Il pellegrinaggio è un fatto sociale che appare a volte come coscienza personale e profonda nell’animo umano del cristiano che decide di partire per penitenza, quindi per espiare i propri peccati, oppure per chiedere grazie per sé o per i propri cari, attraverso la solitudine e i pericoli del viaggio, la preghiera e la meditazione religiosa. I santuari vengono scelti liberamente in base a motivi affettivi personali, oppure imposti dall’autorità religiosa (in tal caso si tratta per lo più di pellegrinaggi penitenziali).
Il pellegrinaggio ha origini ebraiche - si pensi al primo patriarca dei tre monoteismi Abramo, che lasciò la propria terra per un nuova concessagli da Dio - e greco-romane, con templi o monti o fiumi sacri a determinate divinità taumaturgiche ai quali gli uomini pagani si recavano in pellegrinaggio per ottenere favori e risoluzioni ai loro problemi.
Il cristianesimo eredita queste usanze e tradizioni esaltandole e trasfigurandole, rendendo quei luoghi in cui vissero Cristo e i suoi apostoli palpabili e carichi di profondo significato spirituale.
Il termine pellegrino deriva dal latino peregrinus, che nel diritto romano indica colui che non gode della cittadinanza romana e quindi è uno straniero. Il cristianesimo elabora teologicamente tale significato ( uno su tutti Agostino di Ippona): il cristiano sulla terra è un eterno straniero in attesa della città celeste, l’unica sua vera patria, sorretto in questa vita dalla pace terrena e dalla fede.
Il pellegrinaggio, dal greco apodemìa (abbandono del proprio territorio), assume nel cristianesimo una dimensione reale ed evocativa, ma del tutto personale, significativa già nei primi secoli del cristianesimo e giunta poi fino ai nostri giorni.
Gli storici distinguono due tipi di pellegrinaggio cristiano: quello devozionale e quello penitenziale. Il primo è presente fin dai primissimi secoli dopo Cristo e ha come mete i luoghi in cui Cristo visse e operò con i suoi discepoli; il secondo è un po’ più tardo, sicuramente risale ai secoli alto-medievali, quando le pratiche irlandesi arrivano nel continente europeo attraverso i missionari (un esempio di tale processo è la regola monastica di S. Colombano, fondatore in Italia del monastero di Bobbio ) e il culto delle reliquie di santi è già pratica diffusa.
Fin da subito infatti i cristiani visitano i luoghi sacri in Terrasanta, pellegrinaggi che aumentano in seguito all’editto di Costantino I e quindi con la pace e la stabilità che ne conseguono; il IV secolo vede Gerusalemme meta regina del cristianesimo (e tale resterà sempre), città santa nella quale Gesù predicò e fu sepolto per poi risorgere, e in cui Costantino fa erigere le imponenti basiliche del Santo Sepolcro e della Natività.
I palmieri, pellegrini che si recano a Gerusalemme e il cui nome deriva dalla pratica di raccogliere e riportare in patria le palme di Gerico, si trovano in difficoltà nell’adempiere il proprio pellegrinaggio con la conquista islamica di Gerusalemme del 637. I rallentamenti seguiti a questa data, e la dura interruzione dovuta alla conquista della città santa da parte dei Selgiuchidi nel 1078, vanno a beneficio di altre mete di pellegrinaggio, di cui il cristianesimo è ricco.
Nell’Alto Medioevo il culto delle reliquie di santi e martiri ha dimensioni significative: è raro infatti che una città non abbia i resti di un santo, di un confessore o della Vergine che venera e rivendica come propri.
Gli esempi da elencare sono molti: Roma con i santi Pietro e Paolo, Tours con S. Martino, Santiago de Compostela custode del corpo dell’apostolo Giacomo, Sainte-Baume con i resti di Maria Maddalena; e ancora Agaune con S. Maurizio, Limoges con i resti S. Marziale, i culti mariani di Le Puy e Chartres, e altri ancora che per ovvie ragioni non possiamo enumerare.
Il culto delle reliquie e la bramosia di vescovi e città di possedere i resti di un martire o di un santo confessore portano alla pratica della traslazione delle reliquie, nonché a una vera e propria ondata di furta sacra (G. Barone); insomma un vero e proprio mercato di resti e oggetti sacri non sempre autentici che si accentuerà a partire del IX secolo.
Anche in questo caso gli esempi non mancano: il passaggio dei resti di Maria Maddalena dalla Sainte-Baume a Vézelay; i resti di san Nicola di Mira rubati e trasportati a Bari nel 1087; le “ceneri” dei santi Pietro e Paolo portati a Cluny per volere dell’abate Oddone, il quale non le considerava al sicuro nella chiesa di S. Paolo fuori le mura.
È possibile e forse anche comprensibile che queste pratiche facciano sorridere o traballare determinate convinzioni, o anche scandalizzare, ma lo storico deve fare attenzione a valutare con la rigorosa metodologia storica, e non giudicare con una scientificamente sterile e fuorviante mentalità contemporanea.
Ha pertanto ragione Oursel quando scrive che il credente ‹‹ ha bisogno di segni sensibili per trattenere e accrescere la propria fede, e l’originalità, se così si può dire, del cristianesimo è quella di poter moltiplicare questi sostegni ››; inoltre possiamo convenire che ‹‹ nell’insicurezza generata dalla dissoluzione dell’impero romano e dalle grandi invasioni... la figura di questi defensores civitatis emerge con intensità e rilievo tali anche per lo stato di miseria che li circonda ››.
v Vie e gesti del pellegrino
Partire in pellegrinaggio nel Medioevo significa lasciare la propria casa, i propri familiari, senza avere però la certezza di tornare. Per questo il pellegrino, se poteva, si assicurava di lasciare al sicuro i propri beni e protetti i propri cari. Prima di partire erano necessarie la confessione e la benedizione da parte del prete o del vescovo. La benedizione era impartita anche agli oggetti essenziali del buon pellegrino con una preghiera apposita che però poteva variare a seconda della meta scelta: il bordone, il lungo bastone con la punta in metallo che serviva per sorreggersi e difendersi; la bisaccia contenente cibo e denaro; il lungo mantello a pellegrina; il petaso, grande cappello a larghe falde per proteggersi dal sole e dalla pioggia.
I pericoli lungo il cammino erano molti e vari: dalle intemperie naturali a passi di montagna e ponti pericolosi (passaggi vincolanti d’altronde), dalle malattie dovute a condizioni debilitanti per l’organismo al brigantaggio e a possibili attacchi di animali.
Il pellegrino, solo con la sua fede e le sue preghiere mentre cammina, non segue le antiche e solitarie strade romane, ma vie parallele lungo le quali sorgono villaggi, xenodochia, locande, chiese e abbazie. Viene accolto in strutture di assistenza e sosta dette xenodochia (dal XII secolo questo termine verrà sostituito con il latino hospitium), le quali seguono l’insegnamento cristiano di amare il prossimo come se stessi. Per accogliere e sostenere il pellegrino vengono fondati nuovi ordini cavallereschi oltre i già esistenti e noti Templari e Ospitalieri: l’Ordine di San Giacomo della Spada Rossa (1175) e quello di Alcàntara (1177).
Ad indicare la strada ai pellegrini le croci di via (come quella di Le Puy verso Santiago) e i montjoies, termine inizialmente indicante collinette fortificate, e poi attribuito a pietre predisposte a piramide per guidare i pellegrini, tradotto in “monti della gioia” (Montemario ad esempio).
Sebbene nel Medioevo non sia mai esistito un cammino stereotipato (Oursel), vi erano invece vere e proprie vie di pellegrinaggio.
La via Francigena, di fondamentale importanza politica, sociale e commerciale, collegava inizialmente il nord Italia a Roma, e poi questa ultima con Canterbury. Tracciata nell’Alto Medioevo dai Longobardi per unire Pavia, la capitale del loro regno, con i ducati di Benevento e Spoleto attraverso un percorso il più possibile interno e al riparo dagli attacchi bizantini, passa per Lucca, Siena, l’alto Lazio per poi giungere a Roma entrando da Montemario; quando i Longobardi vengono sconfitti dai Franchi, la via assume il nome di Francesca o Francigena.
Già nel X secolo questa via permetteva di raggiungere i passi del Moncenisio e del Monginevro (sul confine italo-francese) e, in direzione nord-ovest, del Gran San Bernardo (situato sul confine italo-svizzero). Questa via dalla palese importanza storica unisce, come abbiamo scritto, Roma con Canterbury, sede dell’arcivescovo primate d’Inghilterra e meta di un importante pellegrinaggio medievale a partire dal XII secolo, o più precisamente, dopo l’assassinio dell’arcivescovo Thomas Becket nel dicembre 1170, alla cui tomba si recano i pellegrini di tutta Europa. La relazione più antica risale al 990, scritta da Sigerico, arcivescovo di Canterbury di ritorno da Roma; è una fonte di primaria importanza per chi vuole ricostruire il percorso della via Francigena che, come forse è inevitabile, subirà modificazioni già alla fine del XII secolo, che porteranno a fasci di strade parallele costituenti itinerari alternativi alla via principale.
Altrettanto importanti le vie del cammino francese e spagnolo che portano a Santiago de Compostela in Galizia. Il camino francés , descritto nella Guida del pellegrino di Santiago, fonte essenziale per lo storico del pellegrinaggio compostellano, riunisce in Puente la Reina le quattro strade principali: la via che parte da Arles e attraversa Tolosa, e che si unisce poi con i pellegrini provenienti dalla via Francigena; la via Podense (da Lione e Le Puy passando per il passo di Roncisvalle, importante per la Guida); la via da Vézelay che passa per Roncisvalle; infine la via Turonense (da Tours attraverso Roncisvalle raccogliendo i pellegrini provenienti dalla Germania e dai Paesi Bassi). Le tappe successive sono Burgos, León, Villafranca e Triacastela per giungere infine a Santiago. Possiamo quindi convenire con Lambert quando afferma che in Francia, così come tutte le strade portano a Roma, soprattutto a sud-ovest, tutte le strade portano a Santiago.
v Arte e letteratura di pellegrinaggio
L’importanza sociale e culturale del pellegrinaggio cristiano nel Medioevo e ancora dopo questo periodo storico si riscontra con chiarezza anche nella letteratura cosiddetta di pellegrinaggio.
Dagli storici gli itinerari, i diari e altri resoconti di pellegrini più o meno illustri sono considerati un vero e proprio genere letterario, distinto dalla grande letteratura che pure tratta e mostra il ruolo significativo di questo imperituro fenomeno sociale (I racconti di Canterbury di Chaucer o le descrizioni dei diversi pellegrini nella Vita nuova di Dante).
Del resto il tema del pellegrinaggio e la figura del pellegrino sono tra i cardini intorno a cui ruota l’immaginario letterario medievale.
L’antenato di ogni guida di pellegrinaggio è il Burdigalien, risalente al IV secolo poco dopo la costruzione delle basiliche costantiniane, il quale traccia l’itinerario che va da Bordeaux a Gerusalemme e fornisce preziose indicazioni sull’organizzazione stradale del tempo.
Ne seguiranno altri altrettanto utili agli storici del Medioevo e a quelli della letteratura.
Il medievista Jean Richard nel suo Il santo viaggio presenta i diversi “sottogeneri” della vasta letteratura di pellegrinaggio: le guide, i racconti di viaggi (che differiscono con le guide non nello scopo, ma nella volontà di narrare la propria peregrinatio, sebbene l’elemento autobiografico è spesso assente), il racconto storico (per lo più narrante spedizioni lontane come la crociata, in cui una buona descrizione storica si unisce con elementi e stili narrativi), le relazioni di ambasciatori e missionari (le quali rispondono a necessità di natura politica, utili per le preziose informazioni socio-culturali che forniscono), i resoconti di esploratori e avventurieri (i quali contengono informazioni su paesi sconosciuti a molti contemporanei, e possono pertanto rientrare nella letteratura di viaggio di cui Il Milione di Marco Polo è uno splendido esempio), le guide dei mercanti (la più celebre di esse è la Pratica di mercatura del fiorentino Francesco Pegolotti, che curiosamente riporta le descrizioni di alcuni prodotti tipici del luogo, nonché i pesi e le misure) e le relazioni di viaggi falsi o immaginari (per lo più si tratta di sintesi di conoscenze geografiche con forti caratteristiche narrative e romanzesche). Una “anomalia” nella letteratura di pellegrinaggio la colta Narracio di Maestro Gregorio, opera tra le più celebri dei Mirabilia Urbis Romae, insieme di scritti periegetici risalenti al XII secolo, periodo in cui molti studiosi vedono nascere il cosiddetto “protoumanesimo”. Fornire all’Occidente conoscenze di altri luoghi attraverso i viaggi di un certo numero di uomini è il senso comune, e la ragion d’essere, di questi generi letterari, ai quali è innegabile non solo una significativa importanza letteraria, ma anche storica.
Le guide nascono dall’esigenza di offrire ai pellegrini consigli pratici e indicare agli stessi le strade da seguire. Quello che davvero conta però è fare conoscere ai pellegrini la vita dei santi che vanno a venerare e fornire loro informazioni sugli aspetti più religiosi del pellegrinaggio in questione; ovviamente l’agiografia risponde a questi bisogni. Il legame tra agiografia e guide di pellegrinaggio è chiaramente presente nella Guida del pellegrino di Santiago, fonte primaria per il pellegrinaggio compostellano. Fa parte della composizione nota come Liber Sancti Jacobi, conosciuto anche come Codex Calixtinus (data l’attribuzione della paternità a papa Callisto II) e di cui la Guida costituisce il V ed ultimo libro. Il Liber è un insieme di lodi e relazioni di miracoli di San Giacomo (di cui riporta la vita e la traslazione da Gerusalemme alla Galizia), e la Guida non è ‹‹che il completamento di una raccolta destinata a promuovere il culto dell’apostolo››. La datazione è stata a lungo dibattuta, così come la reale paternità dell’opera; oggi si è concordi nell’attribuirla ad un certo Aymeric Picaud, prete francese forse di Poitiers, che la completò tra il 1135 e il 1140 (Lambert). Sui contenuti più specifici della Guida ci dilungheremo nel prossimo capitolo dedicato interamente a Santiago de Compostela.
Così come per la letteratura, l’arte, l’altra grande espressione dell’ingegno e della sensibilità dell’uomo, è interessata ad esprimere il pellegrinaggio cristiano, e in esso trova una peculiare e affascinante fonte da cui attingere.
Il crescente, o meglio, dirompente fenomeno del pellegrinaggio nel Medioevo ha portato alla costruzione di basiliche e cattedrali atte non solo ad onorare il santo che custodisce, ma anche per accogliere coloro che viaggiano incuranti dei pericoli per venerarlo e in esso beatificarsi. Il romanico è lo stile per eccellenza di queste imponenti chiese dalle lunghe e larghe navate.
Cattedrali come quella di Santiago de Compostela (costruita a partire dal 1078 fino al 1130 circa) costituiscono uno splendido esempio di come l’architettura medievale non tralasci i pellegrini. L’austero Portico della Gloria, con le sontuose raffigurazioni di Cristo, della sua trasfigurazione, dell’inferno e del paradiso, risale alla fine del XII secolo ed inaugura la stagione del gotico spagnolo.
Gli studiosi dell’arte e dell’archeologia medievali André Masson e Emile Mâle scrivono di una opera architettonica, o meglio, di un santuario prototipo di altre tre chiese di pellegrinaggio. Questo santuario è la cattedrale di s. Martino di Tours purtroppo scomparsa, che ha ispirato l’ampia pianta con significativa elevazione e lunghe navate alle cattedrali di san Saturnino a Tolosa, santa Fede di Conques ed infine Santiago de Compostela.
Questa teoria delle ‹‹chiese delle vie di pellegrinaggio›› fa notare la soddisfazione architettonica all’esigenza di accogliere gli uomini in pellegrinaggio.
La costruzione di chiese e abbazie sulle vie di pellegrinaggio ha come protagonista l’abbazia di Cluny: l’ordine cluniacense dimostra interesse nel fondare strutture religiose per venire incontro ai pellegrini lungo la strada (Mâle). E sebbene alcuni storici abbiano fatto notare che Santiago durò molto più a lungo dell’età d’oro di Cluny, noi conveniamo con Oursel che scrive ‹‹l’inserimento di Cluny si rivelò precoce, vigoroso e fecondo››, dimostrato anche dall’interesse dei sovrani verso Cluny.
v Santiago ‹‹ la buona città dell’apostolo››
Roma, Gerusalemme, Canterbury, Tours, Vézelay, Le Puy, Tolosa, tanti sono i santuari meta di pellegrinaggi nel Medioevo e oltre fino ai nostri giorni; ognuno di questi è carico di importanza storica ed essenza spirituale. Pertanto viene spontaneo domandarsi perché il solo nome di Santiago de Compostela rappresenti nell’immaginario comune il pellegrinaggio cristiano per eccellenza. Studi di grandi medievisti rispondono con efficienza a tale quesito.
Il pellegrinaggio in Galizia deve molto al ‹‹sapore leggendario delle sue origini››, alle condizioni storiche e sociali del suo sviluppo, legato alla Reconquista spagnola, ai canti epici nati per accrescere maggiormente la curiosità degli uomini. Gerusalemme è fin dai primi secoli un privilegio di minoranze, le quali diminuiscono con la presa islamica del VII secolo, e il fallimento delle crociate, la dissoluzione del regno latino e infine, nel Tardo Medioevo, la caduta di Costantinopoli e la fine dell’impero romano di Bisanzio non fanno che allontanare la città santa sempre più dall’Occidente cristiano; inoltre la stessa Roma non è meno difficoltosa come vedremo in seguito.
Santiago de Compostela gode inoltre, e non è un particolare, dell’appoggio storico e religioso della Francia, fondato non solo sulla leggenda secondo la quale san Giacomo è comparso a Carlo Magno rivelandogli la propria tomba, episodio che ha spinto poi il re franco a intraprendere un viaggio per liberarlo dalle mani islamiche (leggenda contenuta nel IV libro della Guida), ma dimostrato anche dal grande interesse che personaggi illustri, Cluny e tanti semplici uomini hanno espresso verso il santuario di Galizia.
Non dobbiamo cadere nell’errore di non considerare la figura storica e finanche quella religiosa e spirituale del santo per comprendere la reale importanza del santuario compostellano.
San Giacomo è stato un apostolo del Signore che ha avuto il privilegio di assistere alla trasfigurazione del Cristo sul monte Tabor, e decapitato poi da Erode Agrippa.
Secondo la tradizione contenuta nella Legenda Aurea alcuni discepoli hanno trafugato il suo corpo per trasportarlo poi in Galizia; il corpo è stato ritrovato nell’830 circa in un campo, forse un cimitero, denominato in seguito alla scoperta campus stellae (da cui Compostella). Sono queste le origini di quello che, dopo la costruzione di una prima basilica nel IX secolo e soprattutto durante l’XI, sarà una delle mete più sognate e visitate dai pellegrini cristiani.
Ma la fortuna di Santiago va anche oltre la leggenda della sua unica traslazione: non solo è l’apostolo di Spagna, ma il santo protettore della Reconquista cristiana della penisola. Santiago come matamoro risale ad un episodio leggendario che lo vede apparire ai cristiani in armi durante una battaglia contro i musulmani nell’840 (apparizioni che si ripeteranno in altre imprese belliche); inoltre, leggendo il IV libro della Guida (lo pseudo-Turpino), si comprende la fortuna del matamoro gia nelle campagne di Carlo Magno e appunto durante tutta la Reconquista.
Particolarità del pellegrinaggio a Santiago è la sequenza di tre riti descritti nella Guida: piantare una croce sul passo di Cize (tradizione risalente a Carlo Magno stesso); raccogliere le pietre da calce di Triacastela e trasportarle fino a Santa Maria de Castañeda, da cui poi venivano portate a Santiago, simboleggiando una caritatevole offerta all’amato santuario; infine il bagno nelle acque del Lavamentula, poco prima di Santiago, per purificare anima e corpo.
Al ritorno il pellegrino portava sempre con sé la conchiglia di Santiago, la cui vendita era sotto il controllo del vescovo, e le cui origini sono incerte, sebbene il mare in prossimità del santuario da cui provenivano è rilevante; è poi divenuta fin da subito il simbolo del pellegrinaggio compostellano e testimonia il raggiungimento della meta e la purezza dell’uomo nuovo che ne consegue (Labande).
La fortuna di Santiago de Compostela ha una lieve e breve parentesi inizialmente alla fine del X secolo (data la conquista di Compostella da parte del governatore del califfato di Cordova Al-Mansur), e successivamente nel Trecento, in seguito alle crisi economica, sociale e religiosa dovute alla Guerra dei Cent’Anni, alla peste e allo scisma avignonese.
Desideriamo concludere questo capitolo con Oursel: non vi è dubbio che ‹‹attraverso tutto il Medioevo, il nome di Santiago de Compostela rimane come un’armonia di sonore campane, esaltanti e gioiose; l’eco giunge lontana, fino alle brume dell’indifferenza e del tradimento d’oggi, penetrandole di una melanconica poesia››.
v XI e XII secolo: accentuazione e innovazione
E’ nell’XI secolo che l’intera cristianità si risveglia con vivacità, con un prolificare del romanico e con un nuovo fervore religioso. La riforma della Chiesa, la rinascita economica e stradale e infine la crociata risvegliano la religiosità e il desiderio di peregrinare. Figure quali Pietro l’Eremita (e la sua ‹‹crociata dei poveri››), l’abate di Cluny Pietro il Venerabile e Bernardo di Clairvaux rappresentano il risveglio spirituale e la rinascita religiosa ed ecclesiastica dell’XI secolo, con un significativo aumento dei voti di pellegrinaggio.
Anche il XII secolo è teatro di vivacità spirituale nonché culturale dato il rinato interesse per la cultura classica (protoumanesimo) e il risveglio del diritto. Ma è anche il secolo in cui, a seguito della distinzione tra voto di crociata (che prevede l’indulgenza, solo successivamente plenaria) e voto di pellegrinaggio, la prima diviene una vera e propria istituzione all’interno della Chiesa cattolica: la crociata è un pellegrinaggio armato (‹‹guerra giusta›› e non ‹‹sacra›› come molti credono) con lo scopo di liberare Gerusalemme (in mano islamica dal 637), e può essere indetta solo ed esclusivamente dal pontefice.
Inoltre in questi due secoli riassume vigore la Reconquista spagnola, sebbene alcuni parentesi di arresto.
v La romeria e il completamento del pellegrinaggio medievale: il Giubileo
Romei erano detti coloro che pellegrinavano a Roma, la città degli apostoli Pietro e Paolo, l’unica ‹‹sede apostolica›› della cristianità con a capo il papa, ‹‹l’indegno erede di Pietro››.
Questa città dalla nota importanza storica è una delle tre grandi mete di pellegrinaggio del cristianesimo: non vi sono custoditi solo i santi Pietro e Paolo, ma tanti altri che vi hanno trovato il martirio.
Come il pellegrinaggio a Gerusalemme, quello a Roma non è meno impegnativo e pericoloso:
il papato, sottomesso nel X e XI secolo alle pressioni dell’impero germanico, e ‹‹l’interminabile disputa sulle investiture, il flusso e riflusso incessante di uomini armati›› costituiscono un ‹‹clima di insicurezza che frena e assottiglia la trama del pellegrinaggio››; ai problemi politici si aggiungono inoltre le difficoltà proprie della strada (i passi del Gran San Bernardo e del Moncenisio). Tuttavia Roma resta una meta peculiare per molti pellegrini in cerca di beatitudine spirituale.
Ed è a Roma che si consuma il “completamento” del pellegrinaggio medievale: il Giubileo.
Il giubileo, jobel in ebraico (corno di montone), è per l’ebraismo un anno sabbatico straordinario ricorrente ogni 50 anni (gli anni sabbatici ordinari invece ogni 7 anni) durante il quale si lasciava riposare la terra e si condonavano i debiti. Come ‹‹anno di remissione››, precedente all’indulgenza plenaria e differente, è presente anche nel cristianesimo altomedievale in cui spesso, a dimostrazione, si ripetono i cicli dei cosiddetti sette settennati; nel Duecento un esempio può essere l’indulgenza concessa ai visitatori della Porziuncola da Onorio III nel 1216.
Il cardinale Stefaneschi nel suo De centesimo seu iubileo anno, fonte primaria per lo studio del giubileo romano, scrive di una folla enorme di pellegrini romei tra la fine del 1299 e l’inizio del 1300 che gridava l’avvento di un anno dalla grande forza spirituale; così papa Bonifacio VIII ordina una ricerca per verificare le fondamenta storico-teologiche di un possibile anno “speciale”. Il 22 febbraio dell’anno 1300 il papa pubblica la bolla con la quale viene indetto il Giubileo, che avrebbe dovuto concludersi nel Natale dello stesso anno. Stefaneschi e la commissione che hanno lavorato a tale ricerca erano convinti che altri giubilei fossero stati indetti nei secoli precedenti; e malgrado anche alcune tesi che vedono nel giubileo romano radici nei riti pagani romani, il primo Giubileo vero e proprio è senza dubbio quello del 1300.
Il papa di fronte alla folla di pellegrini decide di concedere loro l’indulgenza plenaria con l’obbligo di visitare in pellegrinaggio le basiliche di san Pietro e di san Paolo fuori le mura.
Il medievista Arsenio Frugoni fa notare che l’indulgenza concessa ai romei del 1300 non è una nuova forma di remissione, in quanto assolve solo ed esclusivamente i peccati di coloro che fanno visita alle basiliche.
Il Giubileo del 1300 è certamente un grande evento che, divenendo una istituzione della Chiesa cattolica, si ripeterà negli anni (inizialmente ogni 50 anni, e in seguito, dal 1475, ogni 25 anni.
Ma è innegabile che il terreno era stato preparato circa due secoli prima: la crociata, la teorizzazione dell’indulgenza plenaria nel XII secolo, e soprattutto il francescanesimo e la spiritualità gioachimita del Duecento (la teoria escatologico-trinitaria), nonché le affermazioni ierocratiche dell’ultimo grande papa medievale, risvegliano la religiosità cristiana portando a quello che è stato realmente un anno dalla grande forza spirituale.
v Conclusioni
Abbiamo percorso l’evoluzione del pellegrinaggio cristiano dalle sue origini lungo il Medioevo, descrivendone gli aspetti sociali, culturali e religiosi. Ma il pellegrinaggio, è ovvio, non finisce col Medioevo storico, ma continua, a volte con difficoltà ma sempre vincitore, fino a giungere ai nostri giorni per proseguire poi in futuro. Questo perché il pellegrinaggio, prima di essere un fenomeno sociale, è una dimensione dell’animo profonda, libera da precetti istituzionali, ed unisce pertanto la cristianità tutta. Senza dubbio alcuno, il pellegrinaggio è una delle poche forme di sincero sentimento religioso che siano ancora sentite, vissute ed espresse.
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